DEO, NON FORTUNA

Violet Mary Firth, Figlia di Avalon

 

Ottavio Adriano Spinelli

Un luminoso mattino incorniciava il quieto paesaggio della Contea del Somerset.  Lasciate alle spalle le ultime case del villaggio di Glastonbury, imboccai la Wells Road alla ricerca di un luogo decisamente particolare. Speso il tempo di un breve percorso, al fianco della strada apparve  la meta della mia inconsueta cerca. Appena distinguibile nell’omogeneo silenzio della campagna circostante, notai la semplicità priva di clamore di un piccolo cimitero. Il sito, limitato da una bassa recinzione e caratterizzato dal fascinoso disordine organizzato tipico di molti giardini britannici, era libero da carnali presenze. Tutto intorno, mute, le ossa sepolte proclamavano il proprio pacifico dominio.

Fatti pochi passi, trovai quanto la curiosità anelava. Innanzi a me stava, in sobria apparenza, la pietra tombale che sigilla la sepoltura di Violet Mary Firth nota ai più con lo pseudonimo Dion Fortune. Tale celebre firma è l’abbreviazione del motto magico che Ella assunse come proprio nel 1919, in occasione della sua iniziazione alla “Golden Dawn” … “Deo Non Fortuna”.

Osservai a lungo la grigia lapide screziata di muschio e mentre godevo dell’aria insolitamente tiepida per quegli ultimi giorni d’autunno del 1990, realizzai, quasi con imbarazzo, una insolita coincidenza. Stavo interpretando un prosaico pellegrinaggio funebre esattamente ad un secolo di distanza dalla nascita dell’eminente occultista di cui riesumavo la memoria storica.  Per l’ennesima volta, posi a me stesso l’eterno quesito: infine, ha senso e prospettiva disputare della natura del  “caso”? …

Dion Fortune conobbe i natali il giorno 6 dicembre 1890 a Bryn-y-Bia nel nord del Galles e passò ad altra esistenza nel 1946 a causa di una perniciosa forma di leucemia. Quindi, per suo espresso volere, fu inumata nell’umido ventre dell’Isola delle Mele,  la mitica terra chiamata Avalon.

Violet, prima di trasferirsi a Londra, trascorse gli anni dell’infanzia nel Somerset e l’amore per quei luoghi pregni di misteriose energie le rapì definitivamente il cuore, segnando profondamente la sua sensibilità visionaria. Dopo la nascita della futura scrittrice, la famiglia Firth, per fruire dei benefici delle cure idroterapiche in uno stabilimento termale nei pressi di Bath, si trasferì a Weston-Super-Mare, romantica località balneare posta a nord-ovest di Glastonbury e da questa distante poche miglia. Così, complice il “caso geografico”, la fervida immaginazione della giovane Dion Fortune ebbe modo di nutrirsi senza limiti delle suggestive evocazioni suggerite da fantastici scenari naturali. I limpidi occhi della bimba colsero l’immensità sognante della marea, le sue viscere ne percepirono l’ipnotica emozione, la mente ne riconobbe la travolgente forza apocalittica. La meta preferita di quei giorni furono le solide mura dell’antica fortezza edificata sulla punta del “Brean Down”, un selvaggio sperone di roccia proteso nel Canale di Bristol a penetrare la vastità oceanica dell’Atlantico. Il vento a scompigliarle la bionda criniera, lo sguardo spinto verso l’orizzonte, oltre una linea di scogli perennemente assediati dai gorghi delle correnti antagoniste e posti sull’agitata superfice delle acque come orme di un fiabesco gigante. Suggestioni visive ed emotive che certamente furono la fantasiosa radice dei temi occulti poi felicemente tradotti in verbo romanzato sulle pagine de “La Sacerdotessa del Mare”. Biografia spirituale ed esoterico crogiuolo metamorfico ove, in prosa, la pietrosa fortezza mutò trasformandosi nel poderoso Tempio dedicato al culto della Dea Iside, mentre Violet trasfuse idealmente la propria Anima eroica nella misterica figura della sacra Guardiana: Vivian Le Fay, pura Sacerdotessa e sensuale Maga.

 

Il ruvido, gracchiante richiamo di un corvo solitario stracciò il velo del sognante vagheggio che, per un eterno istante, aveva avvinto le membra vaporose dei danzanti fantasmi del pensiero. Intorno ogni cosa divenne nuovamente chiara nella coerente veste decembrina dell’apparenza reale. Il Risveglio nella veglia, ancora una volta, riportò l’attenzione al mondo sospeso di quel camposanto. Sosta di viandante curioso fattasi ormai, nel mio “miraggio”, inatteso diario e fecondo custode dei segreti del convitato di pietra che fin lì la memoria aveva inseguito. Tornato nel tempo e nello spazio, volsi il capo scoprendo a pochi metri di distanza l’ulteriore traccia di una storia infinita: la tomba di Charles Thomas Loveday. L’ennesima  testimonianza di come le molteplici vicende di un’esistenza vissuta intensamente anche in altre contrade, sia fisiche sia ultrauraniche, non tennero comunque Violet lontana dalla leggendaria Ynis Witrin; la Torre di Cristallo, il varco dimensionale fra la sfera dell’ombra e quella della luce. Una landa metapsichica che Ella, sempre,  considerò il Cuore Mistico della terra di Albion: L’Isola Bianca, antico nome della Britannia.

Dion Fortune conobbe Charles Thomas Loveday (1874-1948) a Glastonbury, complice una magica notte del 1922. La luminosa carezza del Plenilunio suscitava morbidi riflessi nella campagna addormenta quando i due si incontrarono presso le “acque sanguinanti” del Chalice Well. A quei tempi  Loveday era un dirigente della “London Tramways”. Sebbene egli fosse sedici anni più anziano di Violet, fra loro si stabilì un legame tanto immediato quanto spontaneo. Legame che li vide, per il resto della vita, sodali compagni  in esperienze rituali e in ardite peregrinazioni negli occulti reami dell’ultrasensibile.

Avalon, seducente nutrice, Isola fra le Nebbie, territorio incognito. Irretito, vidi me stesso in arcione a un pendolo crudele che, impietoso, imponeva  il proprio altalenante ritmo oscillando fra tracce emotive figlie del  lascito culturale di Dion Fortune e i miei personali turbamenti sensibili, incongruamente accuditi da altrettanti dubbi cognitivi. Rammentai allora quanto, nel lontano 1974, lessi in “The Magical Revival”, ottimo testo ben scritto dal recentemente scomparso Kenneth Grant:

“Il timo e le ghiandole pancreatiche sono attribuite all’Anahata Chakra. Il timo, situato nel torace, è il canale attraverso il quale la conoscenza suprema (Daath) viene fatta scendere ad inondare i chakra sotto il centro del cuore. E’ il centro di Tiphareth: due centri culturali riflettono le sue energie sul piano terreno. Si dice che uno di questi centri sia situato in una montagna sommersa dal mare, a circa cento miglia dalle coste del Perù, nella regione andina. … Il secondo di questi due centri di culto è a Glastonbury, il cuore della tradizione misterica occidentale, secondo cui questa regione fu una casa di potere occulto assai prima di divenire la roccaforte del Santo Graal. A Glastonbury, Dion Fortune fondò la sua Confraternita della Luce Interiore facendo così rivivere ai nostri giorni alcuni centri dell’antica venerazione”

Disputare in merito a supposti “luoghi di potere” o argomentare sulle Ley-Lines (linee temporanee o linee di prateria), al giorno d’oggi, può apparire banale al pari di moltissime, stravaganti “curiosità” divenute, nel tempo, oggetto di superficiale e divagante conversazione. All’epoca di Dion Fortune, invece, tali interessi erano riservati a ristrette cerchie d’avanguardia e a Lei, insieme a pochi altri “pionieri”, si deve la divulgazione di temi la cui esistenza e natura hanno finito per essere ampiamente conosciute e dibattute. Gli studi, le ricerche sul campo e una straordinaria attitudine medianica consentirono a Violet di cogliere aspetti della realtà fenomenica altrimenti intangibili per l’ordinaria, comune capacità percettiva. Prima intuitivamente e quindi discendendo da esperienze sperimentali, Ella sviluppò una profonda consapevolezza in merito all’esistenza di molteplici punti di irradiazione vibrazionale variamente collocati nel corpo di Gea, la TerraMadre. Fra questi, certamente non ultimo, è quello geograficamente riferito al villaggio di Glastonbury, sito da lei descritto quale nucleo pulsante dell’anatomia misterica ed  elettro-magnetica delle terre d’occidente. Violet immortalò il proprio amore per questo luogo della memoria scrivendo “Glastonbury, Avalon del Cuore”, testo in cui illustra e analizza i molteplici filoni della peculiare leggenda. Tracce riverberanti di un mito che, oltre a permeare l’apparenza fenomenica della Glastonbury secolare, sono linfa vitale per l’inconscio collettivo delle genti d’Europa e ineludibile capitolo del loro patrimonio Tradizionale.

Nel corso della stagione invernale a cavallo tra il 1923 e il 1924, durante uno dei suoi periodici soggiorni a Glastonbury, Dion Fortune si convinse che ai piedi del Tor, collina da alcuni considerata opera della mano e dell’ingegno devozionale umano, fossero collocate le porte del Sidh, l’Oltretomba celtico. Ella, nella volitiva interpretazione delle proprie intuizioni, acquistò un vecchio capanno situato alle pendici del Tor. Lo chalet, in uso ad ufficiali dell’esercito, ma da tempo  dismesso,  sorgeva in un luogo chiamato “Frutteto del Sacro Calice”. La struttura, una volta restaurata, venne adibita a Tempio Cerimoniale e ambiente privilegiato per le pratiche esoteriche di un ardito gruppo di ricercatori dell’occulto  che ritenevano il luogo un centro focale tanto per la sfera della spiritualità quanto per quella dell’ispirazione artistica. Violet, che definiva se stessa “l’ultima degli Avaloniani”, chiamò quella loggia “Chalice Orchard Club” e ne fece la prima sede de “La Fraternità della Luce Interiore” (successivamente rinominata “Società della Luce Interiore”) accogliendovi studiosi e pellegrini.

Il Chalice Orchard Club, negli anni, acquisì una notevole fama quale rifugio per la meditazione e santuario devozionale. La Società della Luce Interiore divenne, nella considerazione generale, una scuola di alto livello iniziatico caratterizzandosi con variegati e affascinanti insegnamenti di carattere occulto. Molti ne furono i celebri frequentatori, non ultimo Aleister Crowley, che partecipò a un paio di conferenze sul finire degli anni Trenta. Crowley manifestò sempre una grande stima nei confronti di Dion Fortune: lodandone l’abilità nella magia rituale, Egli espresse la propria ammirazione facendole dono, al momento della pubblicazione, di una copia autografa di “The Book of Thoth”. Violet, del resto, si recò ad Hastings per incontrarlo e i due esoteristi intrattennero una confidenziale corrispondenza, andata, purtroppo perduta.

Durante i ritiri Avaloniani, Dion Fortune indagò sia fisicamente, sia a in termini psichici la possibile esistenza di un iperuranico “mondo celtico” connesso alla presenza spaziale del Tor. Ella sostenne di aver avuto, fra le altre, frequentazioni medianiche con Merlino ed Artù. Partecipò ad alcune di tali “esperienze” l’architetto e archeologo Frederick Bligh Bond (1864-1945). Nel 1907 Bond fu impegnato negli scavi effettuati fra le rovine dell’antica abbazia di Glastonbury. Egli, ansioso d’individuare  spunti ispirativi e qualunque notizia di probabile interesse archeologico, reclutò, segretamente, un medium di nome John Allen Bartlett (1861-1933). La strana coppia, servendosi della scrittura automatica, individuò l’esatta collocazione della “Cappella di Santa Maria” insieme a quella della “Cappella Edgar”. Purtroppo, nel 1918, Bond ebbe l’infelice idea di rivelare l’uso tali straordinari strumenti d’indagine nel suo libro “La Porta della Memoria”. Il risultato di tanta improvvida sincerità fu l’immediata esclusione del Bond stesso tanto dai lavori di scavo, come dalle cronache storiche della Chiesa d’Inghilterra, attuale proprietaria dell’abbazia.

Stavo fra quelle tombe “vive”, evocative di molteplici e feconde reminiscenze, quando la sostanza del mio cogitante affresco mnemonico, ad un tratto, si diradò. Piccole nubi velarono la brillantezza del mattino sincronicamente al risveglio della materia che tornò ad urlare la capricciosa urgenza dei propri bisogni. L’orologio segnava l’ undicesima ora antimeridiana ed Io fui colto dalle voglie dell’abitudine, desiderando una pinta colma di ottimo, fresco bitter locale. Avviai quindi i miei passi verso il ritorno fissando, sulla rotta ideale, una piacevole meta: Chilkwell Street. Lì, distante poche decine di metri dal giardino del Chalice Well e dalle prime propaggini del Tor, esibiva le proprie insegne Riflemans Arms, uno dei miei pub preferiti. Una volta che ebbi abbandonato l’ameno luogo di eterno riposo, le mani reggevano il volante dell’auto, gli occhi fissavano la linea della carreggiata di sinistra, lasciando la mente libera di tornare a gingillarsi con pensieri coerenti alle precedenti considerazioni. Pensai a quanto i fili della realtà storica della Glastonbury secolare fossero sottilmente tessuti nel canovaccio misterico della Camelot mitica. Tornai al tempo di Riccardo Cuor di Leone e rividi i monaci che, intenti all’edificazione dell’altare maggiore della loro abbazia, accidentalmente riesumavano le mortali spoglie di Artù e Ginevra. Leggendarie presenze nel luogo  dove un cerchio di canne e fango fu la prima chiesa cristiana in Inghilterra. Fantasiosa orma del fiabesco pellegrinaggio di Giuseppe d’Arimatea, il padrino del Cristo Nazareno al quale sarebbe stata concessa la visione del Santo Graal. Colui che, infiggendo il proprio bastone nella terra della Wearyall Hill diede origine alla “Sacra Spina”. Mistica pianta ancor oggi protagonista della miracolosa fioritura natalizia. Pensai a come, percorrendo il Sentiero ideale disegnato dalla multidimensionale visione di Dion Fortune, una nuova generazione di romanzieri o navigatori dell’impossibile stesse gloriosamente rinverdendo le antiche tradizioni e fra questi, Marion Zimmer Bradley con il suo epico e bellissimo “Le nebbie di Avalon”.

Ogni qual volta i casi del Fato felicemente mi conducano a calcare il suolo dell’amata Glastonbury, non manco mai di elevare un brindisi a Dion Fortune. Una donna coraggiosa e ispirata. Una ricercatrice dell’insolito la cui influenza pionieristica è stata e ancora è evidente radice formativa per la contemporanea speculazione occulta. Tale energica influenza è filtrata non solo attraverso gli insegnamenti de “La Società della Luce Interiore” coniugati a quelli di varie altre organizzazioni collegate, ma soprattutto tramite i popolari romanzi e i testi di cultura esoterica. Nei temi del suo opus misterico, l’alchemica combinazione di una profonda conoscenza occulta con la pratica e lo studio della psicologia junghiana, hanno prodotto una delle forme maggiormente accessibili di conoscenza magica. Si ammanti questo corpo concettuale del prezioso abito teurgico, oppure sposi la bonomia dialettica della  filosofia New Age, o altresì riverberi palese nei rituali della Wicca, sempre risulta innegabile il debito creativo dovuto all’opera mondana e ultrasensibile di Violet Mary Firth, Figlia di Avalon.

 

Ottavio Adriano Spinelli