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            Leggenda degli Yoruba   
             Come 
            Ifa arrivò fra gli uomini 
            di  Ardath Lili Tanto, tanto tempo fa, i sedici Orisha 
            cominciarono a morire di fame. Il fatto di avere la pancia sempre vuota li 
            rendeva insofferenti e irritabili, tanto che saltavano su per un 
            nonnulla e litigavano ferocemente fra di loro. Alcuni, come Oshossi, andavano a caccia, altri 
            come Olokoun, andavano a pesca, ma i risultati erano talmente magri 
            che finito il misero pasto, i divini sedici stomaci brontolavano 
            come prima. Ma cos’era successo? La risposta è semplice: i 
            loro mortali discendenti, gli uomini, si erano dimenticati di loro. 
            Non li pregavano più e non sacrificavano le prelibate leccornie con 
            cui prima si erano, a lungo, nutriti. Allora Eshou, che era un Orisha intraprendente 
            e pieno di iniziativa, decise di scendere tra gli uomini e si mise 
            in cammino. Incontrò Yèmanja che aveva appena finito di 
            nuotare nel suo mare, e le chiese qualcosa con cui potersi di nuovo 
            assicurare la buona volontà e il culto degli uomini. Ma Yèmanja era 
            molto pessimista. “Caro Eshou, non otterrai nulla. Gli uomini 
            hanno perso la voglia di vivere e non hanno più paura di morire, 
            anzi non gliele importa proprio niente. Altri prima di te hanno 
            tentato di scuoterli, ma senza successo. Shapanan ha mandato loro la peste e il vaiolo, 
            ma gli uomini non si sono preoccupati delle malattie e non gli hanno 
            fatto sacrifici. Hanno preferito morire e Shapanan è rimasto a bocca 
            asciutta. Shango, che ha un ber caratterino tutto pepe, 
            ha mandato loro il fulmine e li ha bruciati come formiche in un 
            termitaio incendiato, ma gli uomini non se ne sono curati: sono 
            morti e nessuno dei sopravvissuti gli ha portato delle offerte. E’ inutile che provo a terrorizzarli con altri 
            espedienti. Devi trovare qualcosa che sia tanto buono, 
            tanto importante che i mortali abbiano voglia si possederli e quindi 
            vivere per goderselo”. Allora Eshou andò da Oraniyan, che nei tempi 
            terreni era stato il secondo leggendario re degli Yoruba e che 
            quindi conosceva bene i suoi sudditi. Oraniyan gli consigliò di trovare le sedici 
            noci di palma e scoprire il loro significato: solo così avrebbe 
            riconquistato l’amore degli uomini per i sedici Dei. Eshou andò in una foresta dove crescevano le 
            palme e si fece dare dalle scimmie sedici noci. Ma non sapeva che 
            farsene. Allora le scimmie gli dissero: “Eshou sei stato capace di procurarti le noci 
            di palma, ma non sai che cosa significano! Ora per scoprirlo devi andare per il mondo, in 
            sedici posti diversi, e in ognuno di questi riceverai sedici 
            sentenze. Dopo un anno avrai imparato a capire sedici 
            volte sedici oracoli.” Eshou così fece: andò in sedici posti diversi, 
            seppe quello che c’era da sapere e poi ritornò dagli Orisha. Quindi disse loro quello che aveva imparato e 
            gli Dei esclamarono contenti: “Questa è una cosa buona!”. Allora gli Dei insegnarono il loro sapere agli 
            uomini e questi poterono così conoscere tutti i giorni la volontà 
            degli Dei per il futuro, perché Eshou aveva loro recato le sedici 
            noci di palma di Ifa. Grazie a queste alle noci di Ifa, gli uomini 
            vennero a conoscere tutto il male che c’era nel futuro, ma seppero 
            anche che facendo opportuni sacrifici potevano proteggersi da esso. I mortali cominciarono a sacrificare gli 
            animali e a nutrire gli Orisha, poiché erano contenti per il grande 
            e meraviglioso dono Eshou aveva loro portato dal paese delle 
            scimmie. E gli Orisha, che avevano ritrovato l’amore 
            degli uomini, non ebbero più fame.    
            (Tratta liberamente da L.Frobenius, 
            I miti di Atlandide)   |