ANTIQUAM  EXQUIRITE  MATREM
RICERCATE L'ANTICA MADRE

a cura di Ardath Lili Sekhet Babalon



 


"Oscura è lei, ma brillante! Nere sono le sue ali, nero su nero! Le sue labbra sono rosse come rose, e baciano tutto l'Universo! Lei è Lilith, che condusse avanti le orde dell'abisso, e condusse l'uomo alla rovina! Lei è l'irresistibile appagatrice di tutta la lussuria, veggente del desiderio. Prima di tutte le donne lei fu - Lilith, non fu Eva la prima!  Le sue mani portano avanti la rivoluzione della Volontà e della vera libertà della mente! Lei è
KI-SI-KIL-LIL-LA-KE, Regina del Cerchio Magico! Consideratela in lussuria e disperazione!"
Carne lei mangerà, sangue lei berrà
!

 


DIANA


“Figlio di Apollo, custodisco per sempre il passaggio
Donde le anime salgono ai Cieli.
Tu non scorgi che un lato del mio doppio volto:
L’altro guarda gli Dei!
Comprimo quaggù l’effluvio della terra;
Con tutto il peso del mio globo
Premo gli Spiriti, le Anime e i Corpi;
E tutto il mondo sotto la mia gravità,
Tutto soggiace al mio ritmo e riceve la rugiada
Dei miei silenziosi accordi.

Io congiungo e disgiungo, accordo e oppongo
Tutto: poli, sessi, elementi;
Io sono il femmineo latente in ogni cosa:
Attiro a me i movimenti;
Essi cedono, nella loro forma, alle leggi delle mie ebdomadi:
Bestie, piante, folle umane,
flussi, venti, nuvole, mari,
Tutto fluisce a me nella sua marea,
dal fuoco centrale divampante all’Empireo,
fino ai rarefatti confini dell’Aria.

Presiedo alla Morte, regolo la nascita,
perché nascere è sempre morire.
Le generazioni scorrono sotto la mia potenza:
Ne posseggo le chiavi d’argento e d’oro;
Rimando sul Sole le Anime immortali
Il cui Spirito ha meritato le ali
Per partirsi dal torrente delle nascite;
Altrimenti, al fondo dello Spazio,
Io li lego alla donna, e il loro destino ritorna
Sotto il giogo dei miei turbini.

…Ah! Se le vedessi, le anime invisibili
Uscire a sciami dalle tombe,
Vacillare e salire sui miei raggi pazienti
Scivolare in folla sulle acque!
Alcune, prendono la folle corsa dai campi,
Più rapide della parola,
Passano, rasenti il suolo, si lanciano nell’aria,
Si sospendono su caligini opache,
O sognano su rocce deserte.

Le altre, raggiunta la sfera delle nuvole,
Cercano di volare fino a me,
Scalando l’Etere, afferrandosi ai miei miraggi,
ruzzolando, tremanti d’emozione,
Risalendo, raggiungendomi palpitanti di visioni,
giocando a branchi sui miei greti,
spaziando nei miei vulcani, cercandosi, chiamandosi,
Trovandosi, formandosi in schiere,
E portando a spasso i loro cori nei miei valloni sulle groppe
Del mio grande circo scintillante.
Ma la Terra ti chiama, addio! Parla alle Stelle:
Io ti perdo all’orizzonte.
Forza, quando del tuo corpo lascerai il sudario
Nella sua funebre prigione,
Non temere: vieni, monta i miei corsieri di luce,
credi, - e verso la fonte prima
Da cui scaturisci, verso il Dio superbo, dall’arco vermiglio,
Fissando fortemente il tuo pensiero,
Va! Io ti lascerò, dalla mia sfera ghiacciata
Salire senza ostacoli al Sole!...




Tratto dal VI capitolo de LA CLEF DE LA MAGIE NOIRE (1897) di Stanislas de Guaita che qui cita Il Testamento lirico, di Alexandre Saint-Yves, p. 384-387 [ed. francese].


Ishtar passò oltre la prima porta;
il guardiano la toccò
e le tolse la grande corona che adornava la sua testa;
essa passò oltre la seconda porta;
egli la toccò
e le tolse i gioielli ai lobi degli orecchi;
essa passò oltre la terza porta;
egli la toccò
e le tolse la collana di perle che le circondavano il collo;
essa passò oltre la quarta porta;
egli la toccò
e le tolse la tunica che copriva il corpo;
essa passò oltre la quinta porta;
egli la toccò
e le tolse la cintura di pietre preziose che le ornavano i fianchi;
essa passò oltre la sesta porta;
egli la toccò
e le tolse gli anelli che ornavano le sue mani e i suoi piedi;
essa passò oltre la settima porta;
egli la toccò
e le tolse il velo che copriva il suo pudore.
E allora Ishtar entrò nel soggiorno del paese
in cui nulla cambia...


Tratto dal "Poema di Ishtar" inciso su cilindri di terracotta rinvenuti nella regione abitata dagli Assiri.

 


Invocazione a Diana

Diana Maximi
magna progenies Iovis

Quam mater prope deliam
deposivit olivam,
montium domina ut fores
silvarumque recondotor
animunque sonantum.

Tu lucina dolentibus
iuno dicta puerperis
tu potens trivia et notho es
dicta lumine Luna.

Tu cursus, dea, menstruo
metiens iteer annuum
domum meam bonis
frugibus exples
sis quo unique tibi placet
sancta nomine
sospites et exausi me o Diana
in quacumque die invocavero Te.

Invocazione ad Hecate

Nox, arcani fidissima, quaeque diurnus
aurea cum Luna succeditis ignibus astra
tuque triceps Hecate, quae coeptis conscia nostris
adiutrixque venis et cantus et artis magorum,
quaeque magos, trivia, pollentibus instruis herbis,
auraeque et venti et montes et amnes lacusque,
dique omnes nemorum, dique omnes noctis, adeste!


Il Flusso di Rhea, il Fuoco del padre

In verità è Rhéa la fonte e il flusso dei beati noetici: è lei, la prima potenza, che nel suo grembo ineffabile ha accolto la scaturigine di tutte le cose, e circolando l'effonde su tutto.

Operante, elargisce il fuoco della vita e colma il grembo fecondo di Hekàte..Sui vincoli riversa forza di fuoco vivificante potentissimo. (fr.32)


Fonte: Oracoli Caldaici

Nel buio della notte in aperta campagna o su una spiaggia deserta accanto al mare, rosseggia un fuoco, intorno a cui s'anima una riunione sciamanica: i depositari dell'antichissima tradizione sacra attorniano un iniziato, in contatto estatico con la divinità, che si scatena rendendo rivelazioni in forma di oracoli.
Questa è una delle scene a cui un poeta (del II sec) assistette probabilmente per poi trascrivere in esametri quanto udito, affinchè nulla andasse perduto: ecco gli Oracoli Caldaici.
Radunati poi da Gemisto Pletone all'inizio del XV secolo e finalmente ordinati filologicamente solo nel 1894, essi nella loro frammentarietà, ci giungono come il libro sacro dei neoplatonici. Tra le indicibili, oscure verità qui accennate, vi è anche un tributo alla grande madre Rhea e la visione dell'anima mundi pervasa incessantemente dal fuoco del padre.

Vieni a me, cara padrona, Selene trifronte
e ascolta graziosamente il mio sacro canto magico:
ornamento della notte, nuova, portatrice di luce ai mortali,
nata di buon mattino,seduta sui tori dallo sguardo selvaggio, regina,che la stessa via del Sole percorri con il tuo carro...
Sii benigna con me che ti invoco e ascoltami graziosamente,
tu che l'ampio cosmo governi di notte,
che temono i demoni e di cui tremano gli immortali,
Dea esaltatrice di uomini, dai molti nomi, nata bella,
dagli occhi di toro, dotata di corna, genratrice degli Dei e degli uomini, e Physis, madre universale: gicchè tu erri nell'olimpo e vaghi attorno l'ampio e infinito abisso...
Un perpetuo diadema porti intorno alle tempie,i vincoli infrangibili e insolubili del grande kronos e uno scettro d'oro reggi nelle tue mani.
Domatrice
Domatrice del tempo
Domatrice di uomini
Domatrice del dominio

Regina caeli,
sive tu Ceres
alma frugum parens originalis, quae, repertu laetata filiae, vetustatae glandis ferino remoto pabulo, miti commostrato cibo nunc Eleusiniam glebam percolis;
seu tu caelestis Venus,
quae primis rerum exordiis sexuum diversitatem generato Amore sociasti et aeterna subole humano genere propagato nunc circumfluo Paphii sacrario coleris;
seu Phoebi soror,
quae partu fetarum medelis lenientibus recreato populos tantos educasti praeclarisque nunc veneraris delubris Ephesi;
seu nocturnis ululatibus horrenda Proserpina
triformi facie larvales impetus comprimens terraeque claustra cohibens lucos diversos inerrans vario cultu propitiaris;
ista luce feminea conlustrans cuncta moenia et udis ignibus nutriens laeta semina et solis ambagibus dispensas incerta lumina;
quoque nomine, quoque ritu, quaqua facie te fas est invocare:
tu meis iam nunc extremis aerumnis subsiste, tu fortunam conlapsam adfirma, tu saevis exanclatis casibus pausam pacem tribue.

Traduzione

O Regina del cielo,
tu feconda Cerere,
prima creatrice delle messi,
che, nella gioia di aver ritrovato
tua figlia, eliminasti l'antica usanza
di nutrirsi di ghiande come le fiere, rivelando agli uomini un cibo più mite, ora dimori nella terra di Eleusi;
tu Venere celeste,
che agli inizi del mondo congiungesti
la diversità dei sessi
facendo sorgere l'Amore
e propagando l'eterna progenie
del genere umano,
ora sei onorata nel tempio di Pafo
che il mare circonda;
tu [Diana] sorella di Febo,
che, alleviando con le tue cure il parto alle donne incinte,
hai fatto nascere tanti popoli,
ora sei venerata nel tempio illustre
di Efeso;
tu Proserpina,
che la notte con le tue urla spaventose
e col tuo triforme aspetto
freni l'impeto degli spettri
e sbarri le porte del mondo sotterraneo,
errando qua e là per le selve,
accogli propizia
le varie cerimonie di culto;
tu [Luna] che con la tua femminile luce rischiari ovunque le mura delle città
e col tuo rugiadoso splendore
alimenti la rigogliosa semente
e con le tue solitarie peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore;
con qualsiasi nome, con qualsiasi rito,
sotto qualunque aspetto
è lecito invocarti:
concedimi il tuo aiuto
nell'ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna,
e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo.

INNO A DIANA


Diana, sorella mia sibilla
Cacciatrice dei cieli terrestri,
viaggiatrice su onde d’argento
nelle tue mani giace la mia forza ...


Giace il mio sogno e tutto la mia forza
creativa in posizione fluida,
giace ciò che do e ciò che ricevo,
cari amici e nemici vinti

nella tua metallica lucentezza,
illuminando, oscurando, toccata, nascosta,
arco sempre in movimento
freccia dal volo frusciante
al centro del mio cuore
colpisce il segno un dardo gentile

colpisce il mio corpo e la mia anima,
carezza in parte e carezza tutto
verso la mia preghiera impellente:
dammi i Superi, dammi gli Inferi
allontana da me ciò che mi fa perdere
con la tua mano lesta e l’occhio acuto

Dea della volta notturna,
attraverso le sabbie stellari passi,
mai solenne, già posseduta,
dalla tua maestà espressa.

(Ulpio Demetrio)